STORIE DI CALCIO
[column width=”4″ offset=””]Lavoro in una scuola che ha proibito il calcio. Non proibito del tutto perché ci sono due belle porte con le reti, in cortile. Da ragazzino un campo con le porte e le reti era un campo vero, di quelli in cui ti immagini giocatori con i numeri sulle magliette, con gli allenatori che danno indicazioni da bordo campo. Noi giocavamo nella polvere degli spazi di nessuno e le porte erano giubbetti accatastati o alberi o ciuffi d’erba isolati. Intorno a vent’anni tutti abbiamo dimenticato l’ebrezza dell’olio di canfora sui muscoli e nessuno si è fatto professionista.
Il calcio è permesso un pomeriggio su cinque, nella mia scuola, perché i bambini di oggi non sanno giocare ad altro ed è anche una questione educativa…
Così, mentre maestre e maestri sorseggiano caffè, fanno cerchio e discutono distrattamente, i bambini corrono e si divertono lo stesso. La palla c’è sempre, corre veloce, ma nessuno si azzarda a colpirla con i piedi. Il caffè è terribile e le discussioni distratte mi annoiano ogni anno di più, così passo il tempo a decifrare le regole del gioco dei miei alunni.
Ci sono due squadre, questo è indubbio. Ogni squadra ha una parte del campo, direi che ci sono anche due porte ed un portiere. La palla si può passare solo con le mani, non si può far fallo sugli avversari. Mi viene da ridere.
Dopo un paio di azioni ben costruite, la squadra del campo di destra fa gol e l’attaccante esulta come Totti in televisione.
Potrei prendermela con la mancanza di fantasia dei miei alunni che non riescono a pensare un gioco diverso dal calcio neanche quando sono costretti, ma non ce la faccio. Mi piace di più vederli curvare la logica delle regole per ricavare uno spazio tutto loro.
Sono ottimista (come potrei fare il maestro, diversamente?) e penso che prima o poi imparerò anch’io.[/column]