Macerata spara, nazione infetta.
Bastano poche righe per farsi un’idea di Macerata. Da qualsiasi punto della città, puoi arrivare in centro a piedi. Ci sono delle salite, certo, ma i locali ci sono abituati e, a forza di camminare, si incontrano le persone e si finisce per sapere qualcosa di tutti. Quindi, Macerata tiene i suoi abitanti in riga perché uno sgarbo poi lo paghi tu, ma anche i tuoi genitori, i fratelli, le sorelle, i cugini.
Quello? E’ il parente del matto, di quello che ha sparato ai Nigeriani. Meglio starne alla larga.
A Macerata si è sparato, è già accaduto a Colombine, Olathe, Charleston e in tanti altri piccoli centri USA. Se un ventottenne di una città sonnolenta e priva di iniziativa su tutti i fronti decide di uscire di casa e sparare, lancia un messaggio all’Italia tutta.
Ci saranno (ci sono già, li ho letti su Facebook) quelli che dicono che Luca Traini ha fatto bene. Ho visto il video, ripreso da un’auto, del suo arresto e la voce di una ragazza che dice: “Eh no… ma perché?”. Riceverà lettere di ammiratrici, supporto legale e sostegno personale dai camerati amici suoi.
Si è fatto prendere con una bandiera italiana di fronte al monumento dei caduti, un piccolo Vittoriano di provincia, ha fatto il saluto fascista e ha incitato -implicitamente- altre teste rasate a fare lo stesso. Non è scappato, non si è nascosto, perché non ha fatto nulla di illegale: ha solo portato alle estreme conseguenze il repertorio di frasi fatte, dati approssimativi, retorica patriottarda ormai entrata nelle teste della classe media. Nella testa di quella ragazza che si dispiace per il poverino che è stato beccato dalla polizia. La classe media, la stessa di ottant’anni fa.
E’ per questo che, se Macerata spara, è la nazione a essere infetta.