2 Novembre 2018

M. e la Grande Distribuzione

Seduto in quel caffè, quello della canzone voglio dire, il caffè che sta in fondo alla via Emilia, penso a quello che è capitato a Paolo Giordano, lo scrittore.
Paolo è uno famoso, ha vinto il premio Strega ed è pure tradotto in Islanda.
Insomma, il tipo va alla stazione Termini, a Roma, e gli viene in mente di comprare qualcosa da leggere. Bella forza, dirai, è uno scrittore…
Gli capita allora di trovarsi davanti al naso, lì in primo piano, un calendario col faccione di Mussolini. Un calendario del duemiladiciannove, voglio dire, mica uno di ottanta e passa anni fa. Lo scrittore è uno sveglio, quindi va dalla cassiera e fa una domanda semplice semplice: “Ma che davvero vendete il calendario di Mussolini?”
E quella, che fa? Dà una risposta semplice semplice: “Ce l’ha mandato la Grande Distribuzione”.
Lo scrittore è un tipo sveglio e capisce che a quella banalità, la banalità della risposta, corrisponde un male che si sta dilagando a macchia d’olio. E scrive tutta questa storia sul Corriere.
Ora, io non lo so se sono uno sveglio come lui, ma perdinci, questa cosa mi inquieta un bel po’. Prendo la bici, tolgo il lucchetto e comincio a dar giù di pedali. Non so quanto ci metto, ma poco, perché quando voglio sul sellino non mi risparmio. Arrivo in edicola, faccio tutto un giro intorno. Mi pongo anche il problema: che faccio? A chiedere “scusi, avete per caso il calendario di Mussolini” mi vergogno.
No, non ce la posso fare, c’è un limite a tutto, però studio con attenzione: nessun calendario del mascellone per il duemilaciannove.
Riparto, altra pedalata, altro giro e nuova edicola e poi dopo un’altra e un’altra ancora. Arrivo a sera un po’ affaticato, forse mi sono sopravvalutato, sui pedali, ma quando finalmente blocco la bici con il lucchetto guardo la Ghirlandina con un po’ di sollievo.
Forse la Grande Distribuzione non è arrivata a Modena. O forse ho incontrato edicolanti ribelli. Oppure no, quei calendari vengono venduti sottobanco. Va bene. Va bene anche così: anche il pudore -oggi- può essere un indicatore di civiltà.