Cinque parole per Now!
Al convegno Now! (Modena, 2-3 marzo 2018) i relatori racconteranno la scuola che cambia. Daniele Barca ha proposto cinque parole, un’estrema sintesi dell’innovazione. Le sue sono molto stimolanti (quotidiano, veloce, lento, idea, persona) e rispondono a una suggestione che potete trovare a questo link.
Anche i partecipanti al convegno potranno portare le proprie parole per l’innovazione, per confrontarle e -chissà- scambiarle. E’ un gioco, certo, ma come tutti i giochi è anche una proposta serissima che speriamo arrivi lontano.
Mi metto in gioco anch’io, che a Now! sarò presente in un ruolo per me assolutamente inedito. Ecco le mie cinque parole.
Ragno (di mare)
– Ragno di Mare – disse Sandokan, rivolgendosi all’uomo rimasto in osservazione sull’albero. – Che cosa vedi?
– Una vela, Tigre.
(Le tigri di Mompracem, capitolo II – Ferocia e generosità. Emilio Salgari)
Non so perché, ma Internet non tiene traccia di questa figura, presente nei libri di Salgari. Il Ragno di Mare è l’uomo che si arrampica sull’albero di maestra per vedere prima e meglio degli altri. E’ un ruolo importante: dalla buona vista del Ragno, dalla sua agilità, dipende la sopravvivenza dei tigrotti. Vedere lontano, quindi, assumersi la responsabilità di interpretare quel che sarà, con cautela, perché i riflessi del mare, il tremolio dell’aria, traggono facilmente in inganno. I miei alunni hanno sei anni. Entreranno nel mondo nel lavoro, probabilmente, intorno al 2041: è una data da fantascienza e, davvero, è necessario arrampicarsi su un albero molto alto.
Capitano (mio capitano)
“Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva.”
E’ una delle scene centrali de L’attimo fuggente, film del 1989 diretto da Peter Weir. Il professore sale sulla cattedra e invita i suoi studenti a vedere il mondo con occhi diversi. A cogliere l’attimo.
Non c’e innovazione senza qualcuno disposto a seguire chi sale (con i piedi, ovvio) sulla cattedra. È il destino di ogni innovatore. Rimanere soli, con la mappa della Terra finalmente sferica in tasca, in fondo, non ha alcun senso.
Gioco (divertente)
“La vita non è una questione di avere delle buone carte, ma di giocare bene una mano scarsa.”
Internet attribuisce a Robert Louis Stevenson questa frase e io parto da qui, dalla resilienza. Si cade, ci si rialza, si riparte e a insegnare questo ci pensa il gioco. Può la scuola rinunciare a questi insegnamenti?
E poi c’è lo spazio vuoto tra due strumenti di lavoro, una chiave e un bullone, per esempio. Quando capita, gli artigiani dicono “fa gioco”. Il gioco è uno spazio libero, ma non casuale, non assoluto. Il fare gioco è segnato da limiti imprescindibili e, all’interno di quello spazio a scuola (e non solo) “ci si mette in gioco”. Marco Baliani sostiene che, se non avesse trovato la sua strada d’attore, forse avrebbe fatto il prete o il maestro. Tre professioni da palcoscenico. La formula dell’innovazione è giocare a fare i maestri (o fare i maestri per gioco?). Non è segreta come quella della famosa bevanda, quindi…
Orchestra (bloing bloing)
“Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che prova la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all’insieme. Siccome il piacere dell’armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica. Il problema è che vogliono farci credere che nel mondo contino solo i primi violini.” Diario di scuola. Daniel Pennac.
La classe che funziona, oggi come domani, è un’orchestra. Difficile dirlo meglio.
Parola
La bambina cade, nulla di grave, ma ora piange.
”Fa male?’ Chiedo e lei fa cenno di sì. “Malissimo?” Sì.
“Allora, prendi questo.” Le passo un fazzoletto di carta, ma non sembra convinta. “È magico. Soffiati il naso e vedrai.” La tentazione è troppo forte. Soffia.
“Passato?” Le chiedo. Non risponde, ma fa segno di sì con la testa. Funziona sempre.
(Ivan Sciapeconi).
Per chi lavora con i piccoli, la parola è magica, sempre. Rilassa, cura, carica, scioglie… Delle parole fanno parte anche il silenzio e lo stupore che il silenzio genera, se ben studiato. Dei professori migliori ricordiamo la voce, il lessico, il ritmo. Parola, quindi, è la mia ultima scelta e lascio fuori silicio, legno, futuro, avanti, nonostante, trapezio… che pure avevo pensato. Le lascio fuori tanto, magia del dizionario, con parola le prendo su tutte.